> Domanda di adozione: l'inizio della nostra gravidanza adottiva

L’inizio ufficiale della nostra gravidanza adottiva è stato senza ombra di dubbio il momento della consegna della domanda di adozione o meglio della nostra disponibilità a diventare genitori adottivi presso il Tribunale dei Minori. In realtà tutto era iniziato qualche mese prima ma la consegna dei documenti sancì un formale inizio, una data che avremmo ricordato come punto di partenza di quel lungo viaggio che avevamo davanti.

La consegna della domanda per l’adozione nazionale e internazionale in Tribunale

Varcai la soglia del tribunale con un misto di agitazione e di voglia di cominciare questo percorso. Ricordo che scrutai il palazzo del tribunale pensando che dentro una di quelle stanze, un giorno, qualcuno avrebbe deciso chi sarebbe stato nostro figlio. Ci avviammo verso l’ufficio presso il quale dovevamo consegnare la domanda per l’adozione nazionale e internazionale, ritirate al corso qualche mese prima, e che avevamo già compilato allegando tutta la documentazione necessaria. Ci fecero accomodare su un divanetto nel corridoio in attesa di essere ricevuti, minuti lunghi come tutti quelli che da quel momento in poi avrei trascorso in quei corridoi. Il mio stomaco era sottosopra come non mi capitava dai tempi degli esami universitari. Pensavo che per noi non ci sarebbero state le prime ecografie, le congratulazioni del ginecologo, una data presunta del parto ed un elenco di visite ed esami da fare durante i nove mesi. In quella stanza nella quale stavamo per entrare non ci sarebbe stato nessun lettino, nessun ecografo si sarebbe posato sulla mia pancia, non avremmo sentito alcun battito del cuoricino. Ci sarebbe stata solo semplice burocrazia, carte e firme da apporre. Eppure ci sentivamo così emozionati e felici perché, seppur quel giorno non sarebbe accaduto nulla di tutto quello che accade ad una donna in gravidanza, sarebbe iniziata la nostra gravidanza adottiva, non solo la mia ma anche quella di mio marito. Da quel momento in poi avremmo vissuto quell’attesa alla pari, io non avrei vissuto il privilegio di sentir crescere una vita dentro di me e di sentirla scalciare, non avrei descritto a mio marito cosa si provava ad essere incinta. Avevamo invece il privilegio di vivere l’attesa insieme, di sentirla allo stesso modo, ognuno con le proprie particolarità ma insieme. E se quel giorno non sentimmo alcun battito di cuore rimbombare da un monitor sentimmo i nostri cuori battere all’impazzata.

L’incontro con l’assistente sociale

Dopo qualche minuto ci accolse un’assistente sociale, non più giovanissima, certamente veterana delle adozioni. Non si limitò a ritirare e controllare i documenti ma ci fece un breve ma denso discorso sulle adozioni passando per alcuni dei temi più importanti come l’età dei bambini e gli eventuali problemi di salute. Non indorò assolutamente la pillola, fu chiara, a tratti anche cinica, ma credo lo imponesse il suo compito. Tutti spunti su cui avremmo fatto mille ragionamenti, pensieri, ipotesi in quell’estate che avevamo davanti. La nostra disponibilità di età arrivava fino a sei anni, avremmo potuto estendere questa disponibilità?

Potevamo essere genitori di un bambino più grande, di 9 o forse 10 anni? E quali problemi di salute più o meno gravi avremmo potuto accettare?

L’attesa dopo la domanda di adozione

Uscimmo dal Tribunale con in mano una cartellina rosa con la copia delle nostre domande ed un numero di protocollo. Per il momento eravamo un numero per il Tribunale. Io e mio marito trascorremmo l’estate confrontandoci quotidianamente, leggendo alcuni dei testi consigliati dalla bibliografia del primo corso, ma soprattutto interrogandoci su quale sarebbe stato il nostro futuro. La domanda che più ci pressava era legata al tempo. Quante estati avremmo trascorso ancora in due? E quanti Natali? Avrei voluto accelerare il tempo e balzare in avanti. Finita l’estate ci arrivò la convocazione per il primo colloquio con l’equipe adozioni. Ci stavamo muovendo e facendo un altro piccolo passo.